Ricciarelli, cavallucci e copate

Panforte, Siena, Toscana

La prima cosa venne el morselletto
o vo’ dir pinocchiato, dì a tuo modo,
malvagìa e trìbian vi fu in effetto,
poi piatti d’uova tener metti in sodo
con molte spetiarie e zucheretto

Descrizione in rima di un banchetto a Siena, 1506

Il marzapane, che si afferma a Siena intorno al XV secolo, prevede un miscuglio di mandorle, zucchero o miele e canditi d’arancio, finemente raffinato e impastato con albume d’uovo. La ricetta è rimasta pressoché invariata: i ricciarelli – il nome attuale – hanno solo una pasta più morbida e aromatica, e vengono spolverati da uno strato di zucchero a velo. Il nome deriva dall’arabo marṭabān, nome che indica  il cofanetto di porcellana per medicamenti, confetture, spezie, pietre preziose, così chiamato perché proveniente dalla città di Martaban oggi nel Myanmar, poi esteso alle scatole di legno  per conservarlo.  Questa pasta dolce,  in diverse forme e colorata, nasce per guarnizioni, ripieni, dolci in forma di piccoli frutti. Solo successivamente si cominciano a confezionare varianti in piccole dimensioni, da gustare isolatamente, che prendono il nome di marzapanetti, oppure morselletti, a seconda delle variazioni di ingredienti.  Che non fosse un prodotto locale, almeno inizialmente, lo dimostra la vicenda del mercante senese Vieri di Cola, rapinato a Cefalonia nel 1309 mentre trasporta cinquantacinque libbre libbre di marzapane. Poi, evidentemente, si comincia a produrne anche in città, con una formula originale, di grande successo: i “marzipanetti alla usanza senese”  hanno una larga diffusione, fin dal XV secolo, nelle tavole più sontuose di Italia e di Francia. Nell’archivio degli Estensi, tra gli atti del XV secolo, i marzapani senesi sono più volte lodati. Nasce una tradizione: panpepati, marzapani e biricuocoli non mancheranno mai dai pranzi ufficiali dei Senesi né negli omaggi fatti dalla Repubblica ai personaggi a quali voleva rendere rendere ossequio, nel tentativo di dimostrare opulenza, quasi senza limiti.  Per festeggiare le visite a Siena dal figlio del re del Portogallo e dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo vengono serviti marzapani decorati con l’oro, coinvolgendo i pittori gli stessi battiloro che stendono il prezioso metallo sul fondo delle tavole da dipingere, secondo i dettami della scuola senese. Privi del rivestimento aureo sono invece i cento marzapani serviti nel 1536 nel corso di un banchetto in onore di Carlo V. Da notare che, nel XVII secolo, gli studenti dell’Università di Siena vengono obbligati a donare al Rettore,  in occasione dell’esame di laurea, due marzapani e due  fiaschi di vino. Il ricciarello è un degno erede di questa tradizione. Ne esiste anche  una versione in cui il cioccolato fondente amaro ricopre una lingua di pasta di mandorle.

I berriquocoli (o bericuocoli, biricuocoli, bellicuocoli) ora chiamati cavallucci, sono documentati sin dal Duecento. Per la precisione, in una lettera indirizzata – alla fine di quel secolo – dal domenicano fra Dionisio al nobile senese Guccio di Geri Montanini, per ringraziarlo «de bellichuocoli» ricevuti in dono. Altra citazione compare anche in una commedia scritta sui primissimi del Cinquecento dal senese Niccolò Campani.  I biricuocoli odierno sono dolcetti da credenza composti da farina, zucchero, noci, canditi e spezie, mentre nel XVII secolo erano piccole schiacciate di pasta con «miele e zuccaro e con ispezierie», che venivano preparati in varie località della Toscana. I loro produttori, detti bericuocolai, erano soliti intonare un canto la cui prima strofa rivelava come conservassero gelosamente la ricetta della loro specialità. La dichiarata ritrosia dei bericuocolai a divulgare le loro ricette segrete, costringe persino Pellegrino Artusi ad arrendersi al fatto di pubblicarne una versione approssimativa, che non avrebbe dato i risultati di quella originale. Il cambio del nome non ha origini certe. Si parla di cavalluci e copate nel periodo natalizio in una commedia senese del XVII secolo. Il termine cavallucci ha tante ipotesi, ma nessuna certezza. Non ci sono dubbi invece che questi dolci tradizionali erano – e restano – così amati dai Senesi che non li dimenticarono neppure nel corso del drammatico assedio di Fiorentini e Spagnoli tra il 1554 e il 1555.  Alessandro Sozzini scrive, nell’ottobre 1554 che gli speziali, usando le ultime scorte di farina, «fecero biricuocoli e panpepati per venderli a venti soldi la libbra e, subito cotti, erano spacciati caldi caldi, mentre una serva, in una piazza con una gerletta di pamparigi, ne dava uno al quattrino».

Le copate senesi costituiscono uno dei dolci meno conosciuti tra i prodotti dolciari natalizi, eppure è una squisitezza tra le più costose. Il nome sembra derivato dall’arabo qubbaita, cioè dolce mandorlato, nome che trova conferma in vari dolci con un nome simile in Sicilia, in Calabria, in Abruzzo e nel Molisano: quasi una strada segnata prima di giungere a Siena. Va sicuramente smentita l’ipotesi, accreditata da alcuni, di una origine tutta senese del dolce. Tuttavia, nessuno nega che Siena e la sua tradizione dolciaria legata alle mandorle e alle spezie siano stati  un ottimo terreno perché vi mettesse radici e fiorisse. Di forma tonda,  le copate  prevedono una versione nera e una bianca. Attualmente in commercio si trovano prevalentemente queste ultime, in cui le mandorle sono legate da un impasto di miele e albumi. La ricetta originale di questo dolce è, però, quella delle copate nere, con l’impasto fatto solo di miele e frutta secca tritata (a cui si è aggiunto, nel Settecento, il cacao). Si ripete il dualismo con il panforte, che ancora una volta vede la versione scura all’origine. Anche la forma tonda si ripete, ma di dimensioni piccole e sottili,  con  l’impasto è chiuso da entrambi lati da una sorta di ostia. L’aspetto può ingannare, ma va chiarito che non si tratta di un  derivato del torrone. In realtà l’impasto di miele ed albumi era molto usato in pasticceria per tutto il Medioevo ed utilizzato per accompagnare ogni tipo di dolci.

Vedere

https://www.youtube.com/watch?v=2RZGw7t5h2I
Aggiungi al diario(0)
Test
Vuoi altre ispirazioni e/o suggerimenti?

Reveles consente un confronto con il vissuto locale: studiosi, professionisti, abitanti appassionati. Semplici passaggi consentono di definire la tua personale scoperta. Clicca in questo box per scoprire come.