Castiglione… dei ladri?

Sarteano, Siena

Castrum Latronum della Val d’Orcia, detto anche dei ladri

Emanuele Repetti, nel Dizionario Geografico, fisico e storico della Toscana

Castiglioncello del Trinoro era difeso da fortificazioni, aveva  cinque chiese e un palazzo comunale. Sembra incredibile, ma questo che oggi appare un villaggio strappato all’oblio da un investimento in chiave turistica, una volta era un Comune: un glorioso passato testimoniato da recenti scavi archeologici (lungimiranza dei nuovi proprietari che li hanno sostenuti), come dimostra il ritrovamento del cassero e delle relative fortificazioni. Rimangono anche la chiesa di Sant’Andrea, un gruppo di case, avanzi di fortificazioni e, soprattutto, un paesaggio incredibile: da 774 metri di altezza si controlla l’asse viario di fondovalle, punto strategico, forse, di ladri che derubavano i viandanti. Almeno, quella era la fama, secondo il Repetti, che racconta vicende storiche intriganti.

«Fu signoria dei conti di Sarteano, uno dei quali (Manente), dopo essere stato emancipato dal conte Pepone di lui padre, in presenza di Pietro vescovo di Chiusi, e di Guido preposto alla cattedrale, nell’anno 1117 di marzo, rinunziò al monastero Camaldolense di S. Pietro in Campo insieme all’Eremo del Vivo la metà del castello di Castiglione (del Trinoro) e del suo distretto nei confini ivi designati; eccettuando da questa donazione una porzione di terreno posta fra il colle di Castiglioncello e una padulina denominata la piscina. Sennonché i conti di Sarteano eredi di quel donatario non sempre mantennero ai monaci del Vivo la promessa del conte Manente; per cui i Camaldolensi reclamarono davanti ai tribunali senesi: e nel 26 agosto del 1210 ottennero sentenza da Ottone Zondadari, giudice dell’imperatore Federigo II in Siena, contro gli eredi del conte Manente per la restituzione a quella badia di tutti i possessi donati, e specialmente di Castiglione. Prima che lo stesso secolo XIII terminasse il suo giro, insorsero nuove dispute fra i vescovi di Chiusi e i Camaldolensi a cagione di giurisdizioni e diritti sopra questa contrada. Lo che provocò un lodo sotto il dì 6 settembre dell’anno 1292 pronunziato dal giudice compromissario, col quale fu deciso, che il castello di Castiglione del Trinoro era di giurisdizione dei monaci; e che il priorato di S. Andrea con diverse altre chiese di Val d’Orcia e di Val di Paglia erano esenti dalla giurisdizione dei vescovi di Chiusi e unicamente soggette alla Sede Apostolica. A questo fatto starebbero contro le cronache senesi che fissano all’anno 1251 la rendita di Castiglioncello fatta dai monaci del Vivo al Comune di Siena con l’annuenza del pontefice. Nè tampoco si concilierebbe, che lo stesso Castiglioncello fosse tra quelli venduti nel 1274 dalla Repubblca di Siena alla compagnia dei Salimbeni».

Se non ché del primo caso del 1292 trattasi di diritti spirituali, mentre il documento del marzo 1251 riferisce alla vendita dei beni che i Camaldolensi del Vivo, con l’annuenza del papa, per 150 lire in Castiglion de’ Ladri alienarono.

Certo è che nell’anno 1368 questo castello fu tolto ai Perugini da Cione di Sandro Salimbeni, uno dei più potenti magnati di Siena. «La conquista fu legittimata da Cocco figlio di Cione, mediante una convenzione fatta nel 1404, mercé cui la Repubblica di Siena si obbligò a difendere le terre e castella, onde i Salimbeni s’erano impadroniti nel secolo precedente, fra le quali si notano Castiglioncello del Trinoro, Castiglion d’Orcia, Castelvecchio ecc. Sennonché le pratiche di Cocco Salimbeni con i nemici della Repubblica decisero pochi anni dopo il governo senese a espellere i Salimbeni dai suoi fortilizi. Fu nel mentre che Cocco era assediato nella Rocca a Tentennano, (Rocca d’Orcia) che gli abitanti di Trinoro (anno 1418) penetrarono destramente e tolsero al castellano di Cocco il cassero di Castiglioncello, che poi guardarono per loro conto con l’intenzione di reggersi a comune. Accolti quei terrazzani sotto il dominio della Signoria di Siena, ottennero fra i privilegi, di poter avere un giusdicente da una terna che gli uomini di Castiglioncello avrebbero inviato ogni anno a Siena; dando l’offerta di un palio del valore di lire 50; e promettendo di non accogliere in Castiglioncello alcuno dei familiari di Cocco Salimbeni, con facoltà d’incorporare i suoi possessi a quelli della Comunità. Si rinnovavano li stessi capitoli ogni 25 anni, fintanto che nel 1497 la Repubblica di Siena li confermò in perpetuo. Dopo ciò Castiglioncello del Trinoro corse la sorte della Repubblica senese. Nel 1646 fu dichiarato feudo dal Gran Duca Ferdinando II, che lo concesse a Roberto Cennini con titolo di marchesato, rinnovato nel 1738 a favore del marchese Domenico Cennini. (…). Fra Sarteano e Castiglioncello sono stati trovati molti sepolcreti etruschi, sicché il monte che ha alle spalle è fra i luoghi del contado Chiusino il più segnalato dagli archeologi, come quello in cui si vanno ogni giorno scuoprendo vetusti cimeli, lavori di figuline e di preziosi metalli; talché vi è motivo di dubitare esservi stata costà la necropoli di qualche grossa Terra perduta. La parrocchia di Castiglioncello del Trinoro nell’anno 1640 contava 302 individui; 237 nel 1745; mentre nell’anno 1833 annoverava 339 abitanti».

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