Il successo del panpepato

Panforte, Siena, Toscana

Il panpepato è sempre stato un prodotto di successo, diffuso da secoli nelle tavole dei ricchi e citato in vari documenti: nel XIV secolo si mangia a Venezia in occasione delle solennità più importanti; al pranzo di nozze del Maresciallo di Francia Giacomo Trivulzo con Beatrice d’Avalos d’Aquino, di stirpe Aragonese, una delle infinite portate prevede un dolce di zucchero, miele e mandorle «a guisa dei panpepati senesi»;  nel 1493, ad Innsbruck, in un banchetto dato da Bianca Maria Sforza è gustatissimo, fra i molti dolci offerti, il panpepato confezionato «secondo l’uso antico di Siena». Naturalmente, anche in ambito cittadino ogni opportunità è buona per utilizzare i dolci caratteristici o per farne dono, a Papa Eugenio IV e cardinali, come nei confronti di Carlo V. Sono gli speziali a custodirne ricette e fare un monopolio della produzione essendo considerato un medicamento ricostituente ed energetico. La riprova è una richiesta dei dodici speziali esistenti allora a Siena, datata 1599 ed indirizzata al Granduca Ferdinando dei Medici, di non essere sottoposti al controllo pubblico nella preparazione di panpepati e biriquocoli, avendo nel contempo l’esclusiva della preparazione nella città. In cambio si sarebbero prestati ad insegnare la loro arte ad altri. Raggiunsero senz’altro il loro scopo, visto che esistono decreti di condanna e sanzioni nei confronti di pasticceri e droghieri che avevano osato sfidare il decreto producendo dolci di scadente qualità. Quasi a voler ribadire la necessità di una grande competenza nella preparazione del panpepato e la successiva variante del panforte, esiste un’antica pergamena dei primi del 1700 in cui si elencano gli ingredienti primari che, uniti ai due essenziali, l’acqua e il “foco”. Casualmente sono diciassette,  quante le contrade rimaste a Siena. Nell’ordine: miele, farina di grano, noci, nocciole di monte, mandorle, popone candito, cedro candito, arance candite, limone scorza candita, cannella corteccia, coriandoli, pepe aromatico, chiodi di garofano, noce moscata. Però si dovevano aggiungere anche onestà, laboriosità e temperanza, qualità che doveva possedere il «panfortaio quali cose atte alla perfezione». L’antico panpepato senese ha certamente ricevuto varie “modifiche” a seconda di tempi, luoghi e conoscenze di nuove materie prime che si sono, di volta in volta, presentate. Dal 1810 la produzione delle spezierie, gestite dai monaci, si arresta per la soppressione degli ordini monastici voluta da Napoleone. Crescono così le prime fabbriche e si guarda più alla delicatezza dei sapori, e cresce il successo del panforte, più delicato, al punto che nel 1820 si sforna la prima versione al cioccolato. Nel 1879  avviene un cambiamento epocale, in seguito alla visita dei Reali al Palio di agosto. Nasce il panforte oggi più diffuso, chiamato “Margherita” in onore della Regina, preparato con canditi fabbricati con procedimenti più aggiornati, una miscela di spezie dal gusto più delicato, coperto da strato di zucchero impalpabile. Si ripete  lo stesso meccanismo della mozzarella aggiunta alla pizza: un omaggio diventato una tradizione di successo. Le richieste crescono, al punto che dagli anni Quaranta del secolo scorso si è sviluppata un’industria che, dopo vari accorpamenti e chiusure è ancora attiva accanto alla produzione artigianale. La fantasia e le necessità di mercato hanno fatto nascere altri prodotti, come il panforte “morbido”, ultima aggiunta alla lunga lista dei dolci senesi.

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